11 luglio 2007
BOLIVIA / RITORNO / VANESSA
 Drinnn... drinnn... drinnn...
Allora c'aveva ragione Francesco. Sembrava sincero, domenica sera,
quando si diceva stupito della nostra incazzatura. Noi avevamo provato a
chiamarlo per dieci giorni, 3 volte al giorno, sms, messaggi in
segreteria. Ciccia. E al telefono della Tekove Katu (Benessere Totale,
in lingua Guaranì) non rispondeva nessuno. Mai. Doveva proprio aver
ragione, dopo l'ultimo pollo fritto (per almeno 13 anni) e
davanti alla penultima cerveza boliviana (la Huari mi ha dato delle
soddisfazioni) mentre protestava la sua innocenza:
"sai... qui in Bolivia il sistema di comunicazione è... come dire... un po' anarchico"
Oggi pomeriggio (infatti)
il telefono di Vanessa squilla a vuoto. Lunedì sera (da San Paolo)
il cellulare era staccato e il fisso della Tekove me l'aveva dato
sbagliato (ci mancava il "3" del Departimiento di Santa Cruz), martedì
mattina telefonino staccato e fisso che suonava senza risposta. A
Gutierrez il cellulare non prende (lo so, me l'ha già detto Francesco)
ma perché adesso squilla? A vuoto?
E ritorno Da tre ore sto pancia all'aria a contemplare comodità e lussi d'Occidente: una vera doccia, Kate Bush, tempo da perdere. Prima sono passato al bar. E ho cominciato a rompere i maroni alla Gigliola sul prezzo della birra (la Bavaria, la stessa dell'areoporto di San Paolo) "con i 3 euro e mezzo di questa birra marcia ci mangi, in Bolivia... costava di meno in Brasile" Al suo terzo "ma tu non devi andare a controllare le piante... Vanessa s'incazza..." ho deciso di levare le tende.
Mercoledì D'altronde non dovevo essere poi così gradevole. Stanotte ho dormito sul "San Paolo - Milano" delle 15-40. Ci mette undici ore e mezzo, vale a dire che è come se arrivasse alle 2 e 40 di notte. Con le 5 ore di fuso, fanno le 7 e 10. Di fianco a me c'era Marzia, una sosia bionda e brasiliana di Helena, che parlava solo portoghese e raggiungeva il fidanzato per convolare. Ho tentato di spiegarle che in Italia c'è un sacco di gente che non si sposa per una sorta di resistenza laica (più o meno inconscia). date che mi guardava come un marziano ho ripiegato su un "es un gran dia!" Lei ha sorriso un po' perplessa "mas o menos... muy frìo". Mi racconta che ha avuto una figlia da un altra persona, ma rimane in Brasile con la nonna. Nel nord della Spagna (o era in Portogallo?) dove andrà a vivere lei è troppo freddo anche per sua figlia. Dopo un po' scopro che nel programma di videointrattenimento Alitalia c'è "300". Una svolta. Riesco a dormire e mi sveglio per la colazione. Il volo per Bologna parte alle 10-40, faccio in tempo a salutare Jolando e ad offrirgli 2 euro per telefonare ai suoi due figli. Sta per volare a Barcellona da loro. Siamo insieme da lunedì: lui non sa una parola d'inglese (che già parlo male), io 4 di spagnolo. Ci capiamo a smorfie e grugniti.
Domenica Vanessa ed io facciamo l'ultima passeggiata per La Paz. La città-mercato, dove sembra che tutti abbiano qualcosa da vendere e da masticare. Coca, arance, pollo fritto. Visitiamo il cimitero monumentale e mangiamo in uno splendido baracchino, sopra il Passe, dove una signora Aimarà ci serve bistecche, coca-cola, salsicce, riso e patate per 38 pesos boliviani. Di turisti neanche l'ombra, il cielo sempre più cupo. Poi ci facciamo fregare dal taxista (50 bolivianos sono 5 euro, ma per 20 minuti di taxi a La Paz sono decisamente troppi), lasciamo un biglietto alla locandiera del "Fuente" e raggiungiamo l'aeroporto. Il volo per Santa Cruz ha un po' di ritardo, così abbiamo il tempo di farci offrire la terzultima cerveza da Mauro, Cancelliere dell'Associaciòn Boliviana (legata all'Ordine di Malta). Lui non ha votato per Morales, ma dice di tifare perché "ce la faccia nella democrazia". Anche noi. Ci regala l'ultimo libro che ha pubblicato, di poesie: "memorias del encanto". Package curato e stampa di pregio. "tutto fatto in Bolivia" rassicura. Saliti sull'aereo guardiamo fuori: nevica di brutto. Dopo cena e cervezas Vanessa ed io passiamo l'ultima notte abbracciati. Non ci vedremo per un mese.
Lunedì Padre Tarcisio era stato categorico "due ore prima, in Bolivia". Alle 7-45 siamo in aeroporto e ci mettiamo in fila all'AeroSur. intanto l'aereo ha un delayed di 6 ore: parte alle 15-40. Al check-in la hostess fa l'indiana e non ci dice nulla: mi saltano tutte le coincidenze. La compagnia aerea boliviana, che ha tirato il secondo pacco (all'andata avevano perso il sacco a pelo), mi garantisce hotel, cena e trasporto a San Paolo. E un giorno di viaggio in più. Abbiamo 6 ore "buche" così Francesco ci porta in una scuola fuori Santa Cruz. Oggi c'era una marcia per l'Autonomia Indigena, che è stata sospesa per il maltempo (e la poca gente) e andiamo a vedere che succede. Non avevamo previsto i giornalisti. Scattano foto quasi solo a me, Vanessa e Francesco. La periodista di un quotidiano di Santa Cruz (ostile a Morales) intervista Francesco e cerca di attaccar bottone con noi. Sguinzaglia i fotografi e controlla gli scatti. Abbiamo fatto male a scendere dalla jeep: attaccano Evo perché si circonda di stranieri, cercheranno di screditare gli indigeni facendo credere che si fanno manovrare dai gringos. Ultima cerveza con Vanessa. Il mio aereo parte con un'ora e mezza di ritardo, sotto la pioggia battente di Santa Cruz. Sono a San Paolo alle 19.30 (c'è un'ora in meno che in Bolivia). L'aeroporto è un delirio (nella foto un giovane parecchio ispirato, all'andata), non so cosa aspettarmi. Invece arriva una brasiliana da promocard (nera, capelli ricci, tailleur rosso, tacchi a spillo e push-up estremista) che ci sequestra biglietti e passaporti, assicurandoci vitto, alloggio e voli nuovi.
Siamo una trentina, di tutte le specie antropologiche. C'è un cinese che sta sempre zitto con gli occhi sbarrati. Quando qualcuno gli si avvicina per tentare di comunicare si mette a fare buffe smorfie, inarcando le sopracciglia (sembra Enrico Maria). Alcuni boliviani di età indefinita confabulano rassegnati, mentre gli europei presenti danno segni di nervosismo. "CrazyMan" è tedesco e indossa una giacca di pelle marrone, corta come uno spencer. Si agita. Vuole i suoi bagagli e dormire dove gli pare. All'uscita finalmente sparisce. Io familiarizzo con Gabriel, ventiquattrenne boliviano che viene a studiare "scienza dell'alimentazione" a Parma. Mi mostra la foto della sua ragazza, Pamela Lopez. In serata si uniscono a noi Matteo (boliviano) e l'ucraino Sergej, che ci segnala le quattro migliori vodke del mondo e dice di dispezzare la rivoluzione arancione. Evadiamo dall'hotel alla ricerca di un bar. Ci arrendiamo dopo un quarto d'ora, al passaggio della prima pattuglia della polizia, i nostri passaporti ce li hanno quelli dell'AeroSur. Vaglielo a spiegare...
Martedì Sergej non vuole uscire dalla doccia, pare abbia fatto colazione all'alba. Quando arriva andiamo al parco pubblico, poi io e Jolando raggiungiamo l'aeroporto, dissequestriamo i passaporti, ritiriamo i biglietti e (ri)facciamo il check-in. Si (ri)parte.
Ora Drinnn... drinnn... drinnn...
"Zuccooo! Come stai?! Sono a Camiri... prima non sentivo il cellulare..."
è Vanessa Mi racconta che ha cominciato a lavorare. Ha realizzato il logo dell'Autonomia Indigena, quello che avevamo progettato l'ultima sera di Gutierrez (quasi venti giorni fa), che servirà per le mascherine con cui i Guaranì potranno compiere azioni di marketing virale su ogni muro del Departimiento. Due siti boliviani liberi (indymedia bolivia ed www.erbol.com.bo) sembrano intenzionati a dargli spazio. Vedremo.
Già, perché Vanessa è rimasta in trincea e per almeno un mese potrò raccontare quello che succede laggiù in Bolivia, nella provincia di Santa Cruz. Dove un popolo chiede terra e dignità. E i bambini ti spalancano i denti bianchi in faccia quando arrivi. Ridendo.
| inviato da orione il 11/7/2007 alle 16:54 | |
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